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Europa, la soluzione è nella Costituzione Usa

27 January 2004

Ancora in un'intervista rilasciata tempo fa al Corriere della sera, il premier francese Jean- Pierre Raffarin insisteva sull'alternativa fra il varo più rapido possibile del trattato costituzionale per l'Ue e il lancio - descritto come quasi inevitabile - dei cosiddetti «gruppi pionieri» dell'integrazione. In realtà, per quanto ne siano evidenti e tutto sommato condivisibili le ragioni politiche (sollecitare cioè i paesi membri, vecchi e nuovi, a trovare presto un buon accordo per il funzionamento dell'Unione allargata), nel merito l'argomentazione di Raffarin è discutibile in quasi tutti i suoi aspetti.
Prima di tutto, non esiste veramente una alternativa fra le due opzioni. E' del tutto possibile, anche oggi, varare il trattato e allo stesso tempo lanciare dei «gruppi pionieri». Per varare il trattato, è forse necessario pensare a una soluzione migliore di quella proposta dalla Convenzione per il calcolo della «doppia maggioranza». Ad esempio, si potrebbe semplificare ulteriormente la formula originaria e considerare adottata una decisione appoggiata dalla metà più uno sia degli Stati membri sia della popolazione dell'Ue. E' la formula più semplice e più comprensibile che esista, tanto che fu adottata già oltre due secoli fa dagli Stati Uniti d'America. Era già stata avanzata da alcuni paesi alla Conferenza Intergovernativa, e ridurrebbe il vantaggio supplementare di cui godrebbe la Germania con la versione proposta invece dalla Convenzione (metà dei paesi più 60 per cento della popolazione). Con i loro 82 milioni, i tedeschi rappresentano infatti da soli più del 20 per cento della popolazione dell'Ue a quindici, e poco meno del 19 per cento nell'Ue a venticinque: alleandosi a un paio di altri paesi medio-grandi, potrebbero facilmente raggiungere il 40 per cento e bloccare qualunque decisione. Dopo i segnali di flessibilità lanciati nei giorni scorsi dalla Spagna, se anche la Francia fosse disposta a muoversi in questa direzione - magari prevedendo, come il Congresso americano, soglie più alte per le decisioni più "sensibili" - un buon compromesso sarebbe insomma possibile.
Per varare invece «gruppi pionieri », cioè coalizioni di paesi interessati e capaci di approfondire l'integrazione, l'attuale trattato di Nizza prevede già ora il lancio di «cooperazioni rafforzate » in quasi tutti i settori (con l'eccezione della difesa), sia pure ad alcune condizioni: che le proposte, approvate a maggioranza, non intacchino l'acquis comunitario condiviso da tutti, e che gli aderenti siano almeno otto. Finora nessuno ha usato queste disposizioni (presenti in forma più macchinosa già nel precedente trattato di Amsterdam), anche se la presidenza di turno belga, un paio di anni fa, minacciò di farvi presto ricorso per costringere l'Italia a togliere il proprio veto sul mandato di arresto europeo.A ciò si aggiunge la cosiddetta «clausola Benelux », da sempre presente nei trattati, che permette a piccoli gruppi di paesi di integrarsi fra loro purché, di nuovo, non intacchino l'acquis e non usino (questa la differenza rispetto alle «cooperazioni rafforzate») le istituzioni e le risorse comunitarie. In altre parole, quasi nulla si oppone già oggi all'eventuale volontà di un certo numero di paesi di integrare maggiormente le loro politiche anche quando alcuni partner non intendano seguirli. Il punto discriminante, e in buona parte irrisolto, è se e fino a che punto tali gruppi possano agire in nome dell'Ue e attraverso le sue strutture.
La minaccia di Raffarin - che riecheggia spesso anche nelle posizioni del fronte "federalista" - appare insomma soprattutto retorica, tanto più che le possibilità di procedere molto oltre nell'integrazione in gruppi più ristretti, ad esempio nei settori legati al mercato unico, non sono poi tante.Qualcuno sostiene che esistano in quasi tutti gli ambiti in cui persiste il vincolo dell'unanimità (e in cui la Gran Bretagna vorrebbe mantenere le sue "red lines"). Ci sono anche le politiche per l'ambiente o quella della ricerca, dove l'acquis è ancora limitato e gli eventuali «gruppi pionieri» non rischierebbero di creare regimi normativi separati ed esclusivi, incompatibili con le regole comuni. Ma sembra poco plausibile che Raffarin alludesse proprio a queste, mentre pare comunque improbabile che la Francia gollista sia davvero disposta a cedere sovranità su politiche essenziali, perfino in un'ipotetica «unione» con la Germania come quella suggerita da De Villepin (ma poi smentita da Chirac) nel dicembre scorso.Ciò a cui Parigi punta, e da sempre, è restringere il cerchio di coloro che decidono per davvero in un'Europa che, negli ultimi trent'anni, ha più che quadruplicato il numero dei suoi membri: obiettivo legittimo, e senz'altro apprezzabile nella misura in cui solleva il problema della necessaria leadership politica da dare all'Ue allargata - ma che ha poco a che vedere con il concetto di «gruppi pionieri».
Infine, la bozza della Convenzione, soprattutto con gli articoli riformulati durante la presidenza italiana, prevede maggiore flessibilità anche in materia di difesa, per molti aspetti il settore oggi più dinamico della politica europea. Proprio una rapida approvazione della bozza ritoccata permetterebbe di lanciare nuove iniziative comuni e di dare più incisività alla presenza internazionale dell'Europa, consentendo nello stesso tempo ai paesi più performanti e impegnati (a cominciare dalla Francia) di mettere le loro capacita' a disposizione dell'Ue ricevendone anche il dovuto riconoscimento.
Non solo insomma non c'è alternativa o contraddizione fra trattato costituzionale e «gruppi pionieri», ma le nuove disposizioni in materia di «cooperazione strutturata» (come si chiama adesso) consentirebbero pure di sciogliere la persistente ambiguità politica e semantica fra i pionieri e i leader, fra avanguardia e direzione, facendo sostanzialmente coincidere le due categorie - ma senza escludere in partenza nessuno.